Il nord est è il posto del momento qui a Londra, almeno musicalmente: Dalston, Stoke Newington, Shoreditch pullulano di concerti interessantissimi e di locali aperti da poco che raccolgono un insieme di artisti, hipsters e studenti raffinatamente fannulloni. In tutta onestà andar a vedere questo concerto mi ha fatto scoprire questa interessantissima zona di Londra, tra bosco e profonda periferia, in cui non mi ero ancora avventurata.
Il Cafe Oto è una vera chicca: piccolo eppure dotato di due palchi ma soprattutto di enormi finestroni che danno su un vicolo nascosto che più inglese non si può da cui ora in estate si avverte perfettamente e solennemente il momento del tramonto, spesso proprio mentre l'artista di spalla sta suonando..e diciamocelo, cosa c'è di più magico del tramonto?
L'evento comincia con Chihei Hatakeyama, giapponese di Tokyo per la prima volta in Inghilterra. La sua musica consiste in tracce di strumenti acustici registrate da lui stesso servendosi di piano, chitarra, vibrafono e in seguito rielaborate varie volte tramite laptop. Si presenta sul palco appunto con due laptop e pochi altri strumenti elettronici con cui crea un tappeto di suoni sognante e intricato come una tela di ragno, occasionalmente disturbato da bassi naturalmente amplificati dall'acustica del locale, che scuotono l'ascoltatore portandolo dal sogno alla lucidità in pochi istanti. Con l'avanzare del set Chihei inserisce man mano sibili, suoni di campane e sonagli che si sovrappongono tra di loro e alla melodia creando un caos controllato che rimane finchè la musica si spegne in una lenta dissolvenza fino al silenzio.
Ecco un paio di video giusto per darvi un'idea, scusate la qualità:
Dopo una breve pausa è il turno di Tim Hecker che sorpredentemente appare non sul palco ma alla console di fianco al mixer in fondo al locale. Anche per lui l'equipaggiamento è minimale e pratico: quadranti audio, poche apparecchiature elettroniche, un laptop e una tastiera Nord. Da subito il potente muro di suono viene riversato sugli spettatori immobili e rapiti, chi in piedi chi seduto ma tutti ugualmente scossi e penetrati fino al midollo dalle onde di suono che rimbalzano sui muri per tornare indietro e scontrarsi con intesità e intrecci sempre nuovi. Assistere ad un set di Hecker non è un'esperienza solo uditiva ma enormemente fisica e muscolare, quasi come essere risucchiati in un maelström furioso che scuote le membra e annebbia le coordinate. Non ci si trova più nel club in cui ci si gingillava tra i tavoli un minuto prima ma in un paesaggio nuvoloso e oscuro in cui i bassi potenti sono l'unico appiglio tra il mare di suoni sovrapposti che confonde ogni possibile senso di orientamento. Poco prima della fine del set un momento di relativo silenzio minimale viene scosso da suoni drone che si moltiplicano e aumentano di intensità molto velocemente fino a creare un loop allo stesso tempo garbato e granitico che scompare inesorabilmente, lasciando gli spettatori ancora rapiti e scossi, quasi increduli di aver di nuovo possesso dei propri muscoli e felici di poter battere le mani in onore di quest'artista fenomenale.
Se non è ambient questo!